Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha così descritto il nuovo missile ipersonico russo Oreshnik a testate multiple non-nucleari, armabile anche di testate nucleari, che ha distrutto un impianto aerospaziale militare ucraino: “Io penso che sia come facevano gli antichi guerrieri che battevano la spada sullo scudo per intimorire l’avversario. I missili di cui parla Putin, con cui è stato fatto un esperimento l’altro giorno, sono missili vecchi. Non c’è nessuna novità: sono missili ritoccati, insomma hanno rifatto un po’ il trucco a missili che avevano per cercare di spaventare l’avversario ucraino”. Si tratterebbe quindi, come titola Il Tempo, di un “bluff di Putin”. Quale sia invece la realtà lo dice un esperto di armamenti, Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa, in un articolo intitolato “Si torna agli Euromissili e agli anni più bui della Guerra Fredda”: “L’Europa è improvvisamente tornata ai tempi più bui della Guerra Fredda. Lo strike dimostrativo russo “pre-nucleare” – come lo abbiamo definito – ha dimostrato la disponibilità nell’arsenale di Mosca di un nuovo missile a raggio intermedio dotato di testate multiple indipendenti di rientro (MIRV).”
Per comprendere la gravità della situazione, che il ministro Tajani cerca di nascondere raccontando agli Italiani la storiella dei “missili vecchi a cui hanno rifatto un po’ il trucco”, occorre anzitutto avere chiaro che cosa siano gli Euromissili. Sono missili con gittata tra 499 km e 5.000 km, schierati dagli Stati Uniti in Europa negli anni Ottanta: i missili balistici Pershing 2 in Germania Occidentale e quelli da crociera Tomahawk in Italia (a Comiso), Gran Bretagna, Germania Occidentale, Belgio e Olanda, a cui l’Unione Sovietica contrapponeva i missili balistici SS-20 schierati sul proprio territorio nella Russia Europea. Questa pericolosissima categoria di armi nucleari, progettata per lo scontro nucleare ravvicinato, era stata eliminata dal Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie (INF) firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan. Nel 2014, mentre con il putsch di piazza Maidan la NATO dà il via al nuovo confronto con la Russia, l’amministrazione Obama ha accusato Mosca senza alcuna prova di aver sperimentato un missile da crociera della categoria proibita e nel 2019 (durante l’amministrazione Trump) gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato INF.
Da quel momento gli Stati Uniti hanno ripreso la produzione di missili a raggio intermedio da schierare in Europa a ridosso della Russia, camuffandoli da missili destinati a proteggere l’Europa dalla “minaccia nucleare russa”.
La Russia ha risposto producendo missili come l’Oreshnik da schierare nella parte europea del proprio territorio. Resta il fatto che, mentre i missili USA a raggio intermedio schierati in Europa possono colpire Mosca in pochi minuti dal lancio, gli analoghi missili schierati dalla Russia nella parte europea del proprio territorio possono colpire le capitali europee ma non Washington. Avendo chiaro questo scenario, è fondamentale capire quale sia la potenza distruttiva degli arsenali delle due maggiori potenze nucleari, USA e Russia. Ce lo fa vedere il documentario “The True Scale Of Modern NuclearWeapons” del canale statunitense Science Time che, in base a precisi dati scientifici, mostra quali sarebbero gli effetti di un attacco nucleare USA contro Mosca e Pechino e di un attacco nucleare russo contro San Francisco e New York.
Manlio Dinucci
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